image001.jpg@01D77D52.EC0CC890

In collaborazione con Trail Romagna

 

Carovana creativa sul Cammino di Dante

DA FIRENZE A RAVENNA   

22-25 luglio 2021

 

SECONDO GIORNO

23 luglio, ore 9

 

Camping Acquacheta, altitudine 560 metri sul livello del mare. L’aria è ancora frizzante: di notte, anche a luglio, qui si dorme con le coperte – sempre che il tuo compagno di stanza non russi. Finita la colazione seguo i camminatori fuori dai bungalow. Ci raduniamo davanti alla piramide legnosa del bar, ringraziamo i gestori per l’ottima cena di ieri sera, riempiamo le borracce e partiamo. Il furgoncino si inerpica per una tormentata stradina di montagna. Ai lati si aprono le vallate aspre e ripide, camuffate del verde dell’estate: ma in alcuni tratti il bosco si dirada e lascia intravede l’osso della montagna, che s’avvinghia alla terra come la grinfia di un rapace. Qui la pietra è tagliente a causa della sua origine marina: si spezza con le mani e i bordi paiono quelli delle selci, scolpite dai nostri antenati.

Sfioriamo quota mille, è ora di scendere. Parte qui il cammino che in poco più di un’ora ci porterà al vecchio eremo, fondato nel 1053 da Pier Damiani.

 

23 luglio, ore 11

 

Si alza nel mezzo di una radura circondata dalle montagne, alla fine di una salita dolce e costante. Non invade l’occhio con orpelli, non schiaccia il fiato con la sua magnificenza: l’eremo di Gamogna rispetta il luogo in cui è nato, rimane elegante, silenzioso, fuso nel paesaggio con umiltà. Pietre nude, grigio chiare; tetto d’ardesia; una facciata romanica, eloquente quanto basta per metterti voglia di chiudere la bocca e osservare. Dall’esterno la curva dell’abside potrebbe quasi sembrare una capanna di pellegrini. Il sole si riflette sulle pietre scabrose e consumate dai secoli, e la costruzione si muove nella luce come dipinta da un impressionista. Dopo secoli di incurie, l’eremo è stato restaurato grazie all’impegno del sacerdote faentino Don Antonio Samorì, e oggi è abitato come lo era nell’undicesimo secolo – curato e cresciuto grazie all’impegno delle monache delle Fratenità monastiche di Gerusalemme. Le vesciche ai piedi sono ricompensate. L’eremo è talmente bello che verrebbe voglia di rimanere seduti a mirarlo senza aggiungere nulla, ascoltando le cicale e i calabroni ronzare attorno alle piante di lavanda. Pier Damiani non avrebbe potuto scegliere un posto più adatto alla contemplazione. Lo immagino come l’aveva immaginato Dante nel Paradiso: contento nei pensieri contemplativi, consumando un pasto sobrio, appena condito d’olio; isolato sulle sue montagne tanto in alto “che i tuoni assai suonan più bassi”: i tuoni del gran mondo, lo strepito, la corruzione, lo scialo di tempo e di menti, le minutaglie insopportabili della vita. La carovana mi chiede di dire due parole sul santo di Ravenna prima di entrare dentro la chiesa e ascoltare i canti dei pastori eseguiti da Sparagna all’organetto. Racconto dell’impegno riformatore di Pier Damiani nel Mille, della sua lotta contro la corruzione e la ricchezza smodata del clero; illustro qualche passaggio del De divina omnipotentia e cito il racconto di Borges che riprende l’idea paradossale del cambiamento del passato…

Poi mi taccio: i canti di Ambrogio, con la loro semplicità, rimbalzano sui muri nudi della chiesa e spiegano meglio di ogni lezione teologica cosa significa tornare poveri e ammutolire davanti al mistero del mondo. Imparare significa soprattutto ascoltare: ecco una lezione che non tengono all’università.

 

23 luglio, ore 16

 

Saliamo fino a raggiungere il crinale. Cielo, vette; qualche altro escursionista ci passa di fianco, saluta e scompare dietro alla prima curva. In alcuni punti l’argillite sembra azzurra: camminiamo su un mosaico geometrico di minuscole pietruzze sottili. Stiamo in fila indiana: il sentiero non è abbastanza largo da consentire la formazione di coppie. Ci parliamo senza guardarci in faccia. Forse è per questo, o per la fatica, o per l’eccezionalità del momento, non lo so: ma la parola sgorga libera, e ci troviamo a raccontarci delle nostre vite anche se ci conosciamo appena. È questo, per me, il regalo più bello del cammino. Ruud, il giornalista olandese, mi racconta del suo difficile rapporto con la madre, dell’importanza dei nonni per la sua educazione; mi descrive i suoi figli; mi parla di Rotterdam, la sua città. “Con gli sconosciuti si può dire tutto”, mi dice. E anche se è alle mie spalle, posso giurare che sta sorridendo. Quando le energie cominciano a scemare, ecco comparire dietro ai pini le prime case di Marradi. Stiamo inesorabilmente scendendo verso la città e poco a poco si notano i primi segni dell’attività umana: tralicci dell’alta tensione, cabinotti di caccia, recinti per bestiame. Andrea, la nostra guida, si ferma in uno spiazzo all’ombra: tra poco entreremo a Marradi e dovrà prendere il treno per tornare a Firenze, dove vive. Ci vuole ringraziare per avere camminato assieme a lui: tira fuori un foglio, si schiarisce la gola e ci legge una poesia di Dino Campana. Omaggio alla città che ci osserva da dietro la foresta, omaggio ai camminatori, omaggio alla natura che abbiamo attraversato in questi giorni. “Salgo, nello spazio, fuori del tempo, l’acqua, il vento, la sanità delle prime cose…”

 

23 luglio, ore 22

 

Piazza Scalelle. I Solisti dell’Orchestra Italiana, questa sera accompagnati da Mario Incudine, suonano in piazza. Dai bar qualche anziano occhieggia verso il palco cercando di decifrare i cunti siciliani salmodiati a piena voce dagli artisti. La stanchezza si fa sentire. Mi dirigo verso l’appartamento per andare a dormire. Alzo per un attimo gli occhi a un terrazzo che si affaccia sulla piazza: una signora anziana ha portato fuori una sedia per godersi il concerto al fresco della sera. Sorride, appoggiata al suo bastone.

 

Diario a cura di Iacopo Gardelli 

 

20030664-A828-41D1-8CB2-785C4C4E3637 F019DE76-63B8-4300-8832-6CCCDBD38D60 7C4F7297-D586-4467-90D6-79D0213F69B5 307434C1-3A89-4186-82FD-90F9976A5BDF C504C44C-2AEC-43D0-87A8-EE8A5AC473ED

  1. 8845DA9D-982B-4393-AA94-047A1AC4F462