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In collaborazione con Trail Romagna

 

Carovana creativa sul Cammino di Dante

DA FIRENZE A RAVENNA   

22-25 luglio 2021

 

PRIMO GIORNO

22 luglio, ore 7

 

Firenze, piazza del Duomo. Lasciato il caos dei viali, qui in centro è tutto sospeso e silenzioso. Lavoratori, camioncini e pochi, solitari turisti mattinieri. La luce del mattino colpisce il Battistero, rende i colori del marmo slavati e l’oro della porta più luminoso.  I musicisti chiamati da Ravenna Festival preparano gli strumenti: sono i solisti dell’Orchestra Popolare Italiana, in incognito davanti alle formelle del Ghiberti. Ambrogio Sparagna, Annarita Colaianni, Raffaello Simeoni, Erasmo Treglia, Marco Iamele. Poi partono a cantare gli endecasillabi danteschi, come facevano i vecchi pastori durante le transumanze, rispondendosi in rima l’uno con l’altro, con le voci squillanti e antiche. Penso all’impatto formidabile dei suoi versi sulla nostra cultura: quando una rima arriva a un pastore, significa che hai cambiato il modo di parlare, sei penetrato così a fondo da farti quasi invisibile – invisibile ma ubiquo. Dante, ormai vecchio e in esilio da decenni, voleva tornare qui, nel suo Battistero. Lo dice nel Paradiso: si augura che il suo sacro poema gli renda l’onore e la gloria che merita. Dante lo afferma con la stessa sorda amarezza di un ragazzo ferito dalla fidanzata, in cerca di rivalsa. “Tornerò, e ti farò vedere io”.  Dopo la prima nascita e il primo battesimo, nel 1265, sempre qui, Dante anelava a una seconda nascita, quella poetica, e al lauro per renderla immortale. E non poteva che partire da qui una camminata nel segno poetico dantesco: la nostra carovana creativa è allo stesso tempo omaggio e caccia, ricordo e riscrittura.  I musicisti cantano il canto di Cacciaguida: il pane salato altrui, il “duro calle” dall’esilio. Qualche turista si ferma, fa delle foto, chiede informazioni. Altri non ascoltano nemmeno: sul sagrato del Duomo si fanno selfie che si dimenticheranno nel giro di trenta minuti. Invidiabile leggerezza del turista inconsapevole, che fluttua, galleggia, mira, e torna a casa. Ma la nostra carovana ormai deve mettersi in moto. Finito l’omaggio, i musicisti chiudono gli strumenti e c’incamminiamo verso San Godenzo, lasciandoci alle spalle il carnevale geometrico del Duomo e del Campanile di Giotto. Prossima tappa: le cascate dell’Aquacheta, in mezzo all’Appennino.

22 luglio, ore 11

Per arrivare a San Godenzo risaliamo in pullman la valle dell’Arno verso il Casentino. Il paesaggio si restringe, le montagne si alzano sul fiume che qui lascia quasi intravedere il fondo. Ma i colori rimangono quelli toscani: si può ancora parlare di “nitore”.  I paesini, quasi tutti costruiti sulla strada, sono ticchiolati dal grigio della pietra serena. In piazza a San Godenzo ci fermiamo per aspettare il resto della carovana. Visi aperti, chiacchiera facile. Una piazzetta esposta al traffico della statale e una bottega che fa una schiacciata buonissima.  Non ritrovo qui, almeno nelle fisionomie, quella brutalità che Dante assegnava ai casentinesi. “Porci”, li chiama nel Purgatorio Guido Del Duca; seguono poi gli aretini-cani, i fiorentini-lupi e i pisani-volpi. La valle dell’Arno trasformata in uno zoo di vizi capitali. Qui, per quel poco che ho visto, i visi parlano chiaro – come il dialetto. Con la nostra carovana viaggiano due giornalisti esteri: Rebecca, incrocio svizzero-francese-americano, e Ruud, dall’Olanda. Abbiamo passato la scorsa notte a zonzo per le strade fiorentine intasate di turisti, fra Ponte Vecchio e Santo Spirito. Guardano le colline fuori dai finestrini con la stessa meraviglia con cui ieri sera osservavano le forme del Duomo o di Santa Croce. Perché ci accorgiamo della nostra bellezza solo attraverso occhi esteri? Arriviamo al punto d’incontro per l’inizio della camminata. Ci aspettano 10 chilometri fino alle cascate dell’Acquacheta, passando per l’Eremo dei toschi. Guardo la mappa: se dovessi appendere l’Italia al muro, probabilmente farei passare la puntina portante da qui. Siamo al cuore del nostro paese.

22 luglio, ore 16

La carovana si ferma dopo più di quattro ore di cammino. Siamo nel mezzo delle montagne; qui, fermi davanti alle cascate, intuiamo di essere ospiti, non padroni. Andrea, la nostra guida GAE, ci racconta che questo, da San Godenzo a San Benedetto in Alpe, è uno dei tratti meno popolati dell’Appennino. Ma non è stato sempre così. Fino agli inizi del Novecento, qui ci vivevano pastori e contadini. Oggi è tutto inghiottito dal verde. Nei punti più alti i faggi ombreggiano il cammino. A volte la vegetazione, come un sipario improvviso, si apre e svela i cuscini dei monti, a perdita d’occhio. Per arrivare all’Eremo dei Toschi, una costruzione in galestro e argillite che risale al Mille, si prende una deviazione e si cammina per una mezz’ora. Prima di arrivare, un minuscolo cimitero di pietra con cappella e tombe ormai scolorite ci ricordano che qui viveva una comunità di monaci. Oggi in questo eremo, con chiesa ancora consacrata, ci vive una famiglia. Si può chiedere ospitalità e pernottare.  Ci viene incontro un bassotto piuttosto rumoroso, che si perde quasi subito fra l’erba, annoiato dalla nostra lentezza. Una donna ci parla dalla veranda della casa, ci invita a visitare la chiesa; e poi ci indica la fonte per riempire le nostre borracce. L’acqua è dolce, fresca – preoccupazione dei giornalisti stranieri: è potabile? “La beviamo tutti i giorni”, rassicura la donna. Mi guardo attorno: non c’è segno di abitati o strade per chilometri e chilometri. Davvero potremmo arrivare a inquinare fino a qui? Anna e Luca, altri compagni di viaggio, guardano adoranti due gattini che lottano sull’erba. Continua il cammino. Prima di arrivare alle cascate si passa per una depressione che una volta, ci spiega Andrea, era un lago artificiale, importante per l’economia della vallata. Col tempo i fiumi sono stati deviati e il lago, lentamente, si è prosciugato. Difficile immaginare l’acqua sotto i piedi dove adesso si slarga un prato di fiori ronzanti di calabroni. Anche se ci sembra immutabile, ma il paesaggio è mortale come noi. Le energie mi assistono fino alle cascate dell’Acquacheta. A metà luglio la portata d’acqua è al minimo. Due rivoli scivolano giù dallo strapiombo di più di cento metri, innocui. Segnano di scuro la pelle di serpente del monte, bagnano la pietra fragile e assetata. Nessuna traccia del frastuono infernale che ispirò Dante. Per trovare refrigerio e mangiare qualcosa è meglio piegare sulle cascate del Lavane, più vicine alla fonte e dunque più fornite d’acqua. Prima di proseguire, Annarita e Ambrogio suonano, davanti alle cascate, il canto di Paolo e Francesca: ospite speciale un Dante-pupazzo in miniatura, che prima di svenire dal dolore, si volta a rivedere le “sue” cascate.

Con le ultime forze dobbiamo raggiungere San Benedetto per arrivare al nostro campeggio.

22 luglio, ore 23

Siamo appena usciti dall’Abbazia benedettina che corona questo piccolo paese. Gli endecasillabi popolar-danteschi dei Solisti Italiani, guidati egregiamente da Sparagna, sono stati accompagnati dalle poesie e dalle riflessioni di Franco Arminio, poeta e paesologo. “Questa poesia si chiama Non toccate la Lucania, ma stasera possiamo intitolarla benissimo anche Non toccate l’Appennino”, sorride. Poi invita qualcuno sul palco a tradurla nel dialetto locale. Una donna alza la mano: “Conosco il dialetto di Modigliana, va bene lo stesso?”, e si lancia in una traduzione appassionata. Due donne anziane, sedute sulle ultime panche della chiesa, sorridono a sentire tutte quelle zeta e quelle esse inconfondibili dopo tanto accento del sud. Sono stanche, fanno fatica a distinguere le parole, ma sono lì.  “Per raccontare certi luoghi ci vuole la poesia, il teatro, il canto”, canta Arminio. È vero, tutti i luoghi chiedono uno sguardo obliquo, diverso, sublimante. E tutti i luoghi lo riceveranno. Ma forse è la stanchezza a farmi scrivere con tanto ottimismo.  Risaliamo sul bus per tornare al campeggio. C’è tempo di fare qualche chiacchiera coi miei compagni carovanieri prima che la stanchezza prenda il sopravvento. Domani ci si sveglia presto, sulle 7 e mezza, direzione ovest. Cambiamo vallata, in direzione del Lamone.  

Diario a cura di Iacopo Gardelli 

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